Chiara Bettazzi


Osservatorio 2024

Chiara Bettazzi Osservatorio 2024
Colorescenze, a cura di Elena Magini e Stefano Collicelli Cagol
Centro Pecci, Prato
28.06 - 13.10.2024


L’istallazione è centrale nella mia ricerca. Fa da cardine a due percorsi di senso che costituiscono le basi del mio lavoro e che di volta in volta si intersecano e si allineano. Da un lato ci sono i luoghi e il paesaggio industriale e dall’altro una concezione dello spazio letto a partire da una poetica dell’oggetto quotidiano che, tra accumulo e scarto, si muove nel tempo tra rovina e ricostruzione. Il lavoro qui presentato è pensato all’interno di una delle sale Gamberini ( Room 5 ). L’opera si sviluppa in maniera diagonale, sbieca rispetto le linee perpendicolari del perimetro della stanza. Occupa quindi un posto centrale che apre a due visioni opposte ma congiunte rispetto alle entrate simmetriche che caratterizzano la sala espositiva. L’ingombro mobile, frastagliato e informe di circa 36 mq si estende lungo una diagonale di circa 8 metri. Una struttura aperta e libera che, caratterizzata da sviluppi verticali verso l’alto e visuali prospettiche, si trasforma in un dispositivo per l’osservazione che moltiplica i punti di vista.


La parte inferiore, situata a contatto col pavimento si compone di casse in legno e ferro al cui interno sono poste piante specifiche della vegetazione presente in maniera spontanea sul territorio. Questo porta alla commistione tra elementi naturali e artificiali, e richiama da vicino gli orti operai, terreni agricoli costruiti intorno alle fabbriche che rappresentano un fenomeno sociale attivo in passato nella zona. Salendo in altezza, si sviluppano gli elementi strutturali: tracce urbane, oggetti casalinghi, resti architettonici e domestici, residui di vita che costituiscono l’immaginario paesaggistico di una rovina del contemporaneo. I materiali usati, in parte provenienti dallo studio dell’artista e in altra dal paesaggio urbano e naturale, evocano rifiuti da smaltire che vengono qua introdotti e riutilizzati per costruire uno spazio abitativo futuro che, attraverso l’identità formale delle cose, mantiene la memoria del passato.


L’istallazione mostra nello stesso momento due facce, creando un ambivalenza che lascia l’osservatore in bilico tra la visione distopica e quella utopica del paesaggio. Da un lato visto come post-apocalittico, in cui la natura sopravvive alle strutture, ne assume le forme e riconquista lo spazio urbano, evocato dalle rovine contemporanee delle cose quotidiane, guardate come superstiti di un apocalisse causata dall’uomo e dalle catastrofi naturali. Dall’altro lato la visione che si apre è sul futuro, in cui i frammenti urbani compongono l’immagine di un’unità abitativa autosufficiente ed ecologica, in cui baracche, orti operai e tiny house diventano elementi essenziali di una vita più lenta, sostenibile e a contatto diretto con la natura. Si tratta di un’archeologia contemporanea che si muove e si modifica nel tempo, in cui è presente una possibilità di rinascita lontana dal consumismo, dall’inquinamento e dallo sfruttamento estremo delle risorse naturali. In questo ritmo serrato di un doppio paesaggio che travalica il tempo per darsi al presente, una fotografia ferma l’istante della visione. Questa è parte dell’istallazione e completa l’immagine anacronica dell’opera.