Reverse
Chiara Bettazzi
Reverse view
Tenuta Dello Scompiglio
a cura di Angel Moya Garcia
1 ottobre – 17 dicembre 2023
Lo spostamento di un oggetto, la modifica del contesto o un incidente di percorso si delineano come un gesto, un movimento o una fessura che incide il quotidiano e apre verso una nuova percezione della realtà. La raccolta, la collezione o l’archiviazione si inseriscono come pratiche artistiche che tentano di sistematizzare il mondo quotidiano non tanto per trovare un ordine dentro il caos, quanto per aprire nuovi orizzonti di interpretazione, nuove suggestioni, nuove possibilità.
In questo contesto, la ricerca di Chiara Bettazzi, declinata in installazioni, fotografie e progetti condivisi, è profondamente legata a una riflessione sull’oggetto d’uso quotidiano rielaborato e rifunzionalizzato attraverso una pratica che viene, da una parte, orientata verso l’usa e getta e, dall’altra, votata all’accumulo compulsivo di oggetti di dubbia utilità. L’oggetto, in questo senso, viene inteso come una materia con cui disegnare lo spazio, privandolo dal loro eventuale valore simbolico, per trasformarlo e ricostruirlo costantemente. In questo modo vediamo come tutte le sue installazioni possano essere interpretate come un unico lungo lavoro in progress che si sviluppa, si adatta, si declina o si concretizza in funzione di un determinato spazio, riutilizzando più volte gli stessi oggetti fino a quando questi non diventano polvere, mentre la fotografia, che fino a poco tempo fa veniva usata fondamentalmente come elemento preparatorio per le installazioni, è diventata non solo elemento a se stante, ma spesso predominante nella formalizzazione.
La mostra “Reverse” pensata appositamente per la Tenuta Dello Scompiglio prende forma a partire dall’idea di natura morta come genere pittorico, legandolo alla sua genesi e alla sua evoluzione nel corso della storia dell’arte. Lo spazio espositivo, sezionato asimmetricamente, genera due punti di vista separati che diventano rispettivamente il davanti e il retro del lavoro, rimandando in questo caso alla tela del pittore e alla tradizione che vede la nascita della pittura di natura morta sul retro della tela. Il lavoro indaga l’archeologia della natura morta attraverso un processo di costruzione installativa che avviene in loco in cui l’illusione percettiva determina ed evoca due relazioni, da un lato quella tra spazio e oggetto e, dall’altro, tra la natura morta e lo spettatore. Mentre nella prima si evidenzia la rilevanza dell’oggetto stesso attraverso le modalità classiche di utilizzo di alcuni elementi come ad esempio lo specchio, la nicchia, il trompe l’oeil e i tendaggi, nell’altro, viene rappresentato il valore storico artistico delle modalità di visione, tra fronte, retro e illusione.
Vediamo, in questo modo, come nel suo lavoro non ci siano concetti, mode o filoni da seguire o rispettare, nè letture o interpretazioni imposte o suggerite. Rimane solo l’atavica urgenza di modellare, ridisegnare, ricontestualizzare o riconfigura attraverso oggetti personali o presi in prestito un determinato spazio. In quest’ottica emerge la coerenza di una ricerca in cui, a prescindere della declinazione formale o dal linguaggio scelto, ogni gesto diventa un impulso, un istinto e un legame con gli oggetti, con gli elementi di arredo, con gli interni o con gli spazi per dare, evocare o concretizzare una visione diversa rispetto a quella a cui siamo abituati.
SC17